Fonte www.alidiporpora.it - Sapete da dove deriva il termine Handicap? Si tratta della fusione delle parole hand in cap (mano nel cappello). Il termine era utilizzato durante il XVI secolo in Gran Bretagna per identificare un gioco d’azzardo praticato in quel tempo. Il gioco si basava sul baratto o scambio, tra due giocatori, di due oggetti di diverso valore. L'arbitro aveva il compito di controllare il valore dei due oggetti e imponeva al giocatore che offriva il bene di minor valore, di aggiungere a questo la somma di denaro necessaria a renderli equivalenti.

La compensazione monetaria veniva depositata dentro il cappello (cap). Successivamente il termine handicap venne utilizzato nel linguaggio sportivo internazionale, soprattutto quello ippico, indicativo dello svantaggio che viene attribuito in una gara al concorrente che ha maggiori possibilità di successo. I concorrenti più forti quindi accettano di partecipare alla gara in condizioni più severe per dare, a tutti quelli che gareggiano, la stessa probabilità di vincere (corse handicap). Dal significato originale legato al gioco e allo sport la parola handicap è stata poi utilizzata alla fine dell'Ottocento per indicare, in generale, il modo di equilibrare una situazione compensando le diversità. Adesso l’uso della parola handicap si riferisce solo ad una difficoltà.

Oggi parliamo quindi di parole. Le parole scritte e dette senza troppa attenzione, dette e scritte in modo goliardico, per divertirci un po' tutti ed essere aperti. Così invece di dirti che sei un coglione, oggi ti dico che sei "handicappato".

Un mio professore dell’università aveva l'abitudine, e credo l'abbia ancora, di usare il termine menomato come dispregiativo contro i politici che secondo lui avevano carenze mentali. In realtà è menomato chi ha un'invalidità fisica e quindi oltre a servirsi di un termine in modo errato, usava delle mie caratteristiche come mezzo per offendere qualcun altro.

Non sono mai stata un tipo serioso e permaloso (almeno non troppo), rido spesso della mia disabilità, di quello che non posso più fare e dei movimenti diventati ormai goffi. Della disabilità si deve poter ridere, perché tutto ciò di cui riusciamo a ridere senza che si cada ovviamente nella derisione, ci dà la possibilità di considerare, quella cosa, una cosa normale. Talmente tanto normale da poterne serenamente ridere.

L’uso dispregiativo di alcuni termini è però qualcosa di diverso.

Il termine handicappato sembra essere dunque il più gettonato. È il più generico, raccoglie tutti i tipi di disabilità e puoi usarlo in diverse occasioni. La frase che sento dire più spesso è: “non fare l’handicappato!”, che a voler essere ironici si potrebbe intendere come una specie di lotta personale contro i falsi invalidi.

In questi casi, il mio io, reagisce sempre come un fervente cattolico reagirebbe ad una bestemmia. Solo che da un punto di vista religioso è considerata “bestemmia” l'offesa alla percezione di una sacralità e all’esistenza di una fede, sentimenti questi talmente intimi e personali che non dovrebbero, razionalmente, stranire se non presenti. Ma la disabilità non è un sentimento, di intimo e personale c’è poco o niente, non posso quindi fare a meno di prenderla sul personale quando sento dire “sei un handicappato!” perché è un po' come se si dicesse “Sei una Valeria!”. Provateci un po' voi, pensate a come vi potreste sentire ad essere considerati l’offesa per qualcuno. Ad essere e possedere qualcosa di così negativo da poter diventare mezzo per mortificare gli altri.  

Abbiamo fatto sì che l’hand in cap, nato per equiparare due situazioni diverse, subisse un vero e proprio Handicap finendo per identificare lo svantaggio di chi uno svantaggio lo ha già. Utilizziamo i termini con la convinzione che per ridere di qualcosa bisogna anche deridere qualcuno, crediamo che l’importante sia dare aria alla bocca. Come quando vi dicono che ad un esame dovete continuare a parlare anche se quell’argomento non sapete neanche da quale parte del libro si trova. Parlare, continuare a parlare, perchè tanto il professore non se ne accorgerà. Si farà convincere dalla vostra sicurezza, dalla posizione delle spalle, e dal tono di voce. A volte è vero. Accade soltanto con i professori più svogliati.

Ci siamo permessi di diventare e interpretare gli alunni furbi e i professori svogliati. Siamo diventati un po' coglioni. Tutti un po' coglioni e tutti un po' Valeria.

*Si segnala che l'articolo redatto da Valeria Pace e qui riportato è stato pubblicato sul sito di www.alidiporpora.it in data 23 aprile 2017