Anffas è lieta di condividere il nuovo approfondimento realizzato nell'ambito degli studi sul portale www.handylex.org con il coinvolgimento degli esperti di Anffas Nazionale - quali componenti (in rappresentanza di Anffas) del Centro Studi Giuridici Fish - che vi hanno fornito un consistente contributo sul tema della compartecipazione al costo dei servizi sociali e socio-sanitari da parte delle persone con disabilità.

Fonte www. handylex.org - Nonostante una chiara e dettagliata normativa nazionale individui in generale quali siano i criteri che gli enti pubblici debbono utilizzare per stabilire quanto poter richiedere di compartecipazione al costo ai cittadini che fruiscono di cc.dd. “prestazioni sociali agevolate”, ancora si assiste ad enti pubblici che, alle volte, anche illegittimamente, adottano con propri regolamenti, determinazioni o altri tipi di atti e criteri del tutto difformi e/o contrastanti con quanto indicato a livello nazionale, vedendosi poi censurati da provvedimenti giudiziari. Ciò avviene soprattutto per i servizi fruiti da persone con disabilità (anche per la specifica disciplina di compartecipazione prevista per loro e di cui si dirà oltre), che molto spesso sono costrette a censurare l’illegittimità di tali provvedimenti davanti all’Autorità Giudiziaria, che oltre a ripristinare il diritto delle persone con disabilità ad un’equa e giusta compartecipazione al costo, sempre più spesso determina consistenti condanne in capo agli Enti pubblici per la refusione delle spese legali sostenute dai ricorrenti. Onde evitare il ricorso sistematico all’Autorità Giudiziaria e soprattutto ritenendo utile per tutti (persone con disabilità e loro familiari, Pubbliche Amministrazioni, ecc..) fare il punto rispetto ai criteri sulla compartecipazione al costo per i servizi fruiti dalle persone con disabilità, si forniscono i seguenti chiarimenti.

INDICE

  1. Quando si parla di compartecipazione al costo
  2. Cosa è l’ISEE e come si calcola (ISEE familiare, ISEE ristretto, ISEE per prestazioni socio-sanitarie in regime residenziale)
  3. Cosa deve intendersi per prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria
  4. Una volta determinato il tipo di ISEE da applicare, come quantificare l’entità della compartecipazione, specie se socio-sanitarie a rilevanza sanitaria?
  5. Cosa non può essere richiesto alla persona con disabilità
  6. La questione dei civilmente obbligati
  7. L’impossibilità di evidenziare le prestazioni assistenziali ai fini della compartecipazione al costo
  8. I Comuni non possono riconoscere un contributo a sostegno della “quota sociale” addossata integralmente in prima battuta al cittadino
  9. Conclusioni

1. Quando si parla di compartecipazione al costo

Al di là del c.d. “ticket sanitario” per le prestazioni che afferiscono il servizio sanitario, per le prestazioni sociali e per le prestazioni socio-sanitarie si parla di “compartecipazione al costo”, quando si prevede che colui che fruisce di tali prestazioni debba rimborsare una parte del costo di essa all’Ente Pubblico. Vi sono infatti prestazioni erogate gratuitamente dall’Ente Pubblico (vedasi, per esempio, assistenza per l’autonomia e la comunicazione per l’alunno con disabilità frequentante una scuola fornita dal Comune) o altre prestazioni per le quali l’Ente Pubblico decide di non far compartecipare il fruitore (vedasi, per esempio, il caso del Comune che prevede un servizio di taxi sociale totalmente gratuito per alcune categorie di cittadini). Le prestazioni sociali e socio-sanitarie che più direttamente rilevano le persone con disabilità sono in genere le cc.dd “prestazioni sociali agevolate”, ossia quelle prestazioni e/o servizi che non sono destinate alla generalità dei cittadini, perché volti ad eliminare delle situazioni particolari di disagio o di svantaggio del richiedente (vedasi assistenza domiciliare per persone con disabilità), e la cui erogazione o l’eventuale compartecipazione al costo sono altresì commisurati proprio all’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE).

2. Cosa è l’ISEE e come si calcola (ISEE familiare, ISEE ristretto, ISEE per prestazioni socio[1]sanitarie in regime residenziale)

L’ ISEE è l’acronimo di Indicatore della Situazione Economica Equivalente, ossia della rappresentazione della situazione economica della persona che, appunto, richiede una o più “prestazioni sociali agevolate”. La quantificazione ed applicazione dell’ISEE per la compartecipazione al costo oggi è disciplinata, da un punto di vista statale, dal DPCM n. 159/2013 ed è quindi a questo che occorre far riferimento. Secondo tale DPCM, l’ISEE è dato, in via generale, dalla somma delle situazioni economiche reddituali e patrimoniali di tutti i componenti della famiglia del richiedente la “prestazione sociale agevolata” (c.d. Indicatore della Situazione Economica) rapportata ad un parametro (p) di equivalenza che dà rilevanza a singole condizioni familiari (per es. numero dei componenti, presenza di minori nel nucleo familiare, ecc..), secondo la seguente formula.

ISR (Ind. Reddituale) + 20% ISP (Ind. Patrimoniale) = ISE = ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente)

                                         p                                                         p

 


Quindi, il suddetto DPCM prende a riferimento, come criterio generale di calcolo dell’ISEE del richiedente una qualsiasi “prestazioni sociale agevolata”, la condizione economica dell’intero nucleo familiare del richiedente, costituito da tutti i soggetti componenti la famiglia anagrafica (c.d. ISEE familiare). Però per alcune “prestazioni sociali agevolate”, ossia per le “prestazioni sociali agevolate di natura socio[1]sanitaria” rivolte ai richiedenti maggiori di età può essere calcolato, in alternativa più favorevole per il richiedente, l’ISEE del suo nucleo familiare ristretto (c.d. “ISEE ristretto”), che considera la condizione economica solo del richiedente stesso e del suo eventuale coniuge e/o figli (minori o maggiorenni, questi ultimi sia se rientranti nel nucleo familiare anagrafico, sia se siano comunque a carico), secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 2, del medesimo DPCM. In alcuni casi, le persone con disabilità non sono coniugate e/o non hanno figli e quindi il c.d. “ISEE del nucleo familiare ristretto” coincide con l’ISEE del solo richiedente; ma trattasi comunque sempre di ISEE del nucleo familiare ristretto (anche se ristretto al solo richiedente, privo degli altri legami di coniugio e di genitorialità richiesti dall’articolo 6). Per le sole prestazioni sociali agevolate di natura socio-sanitaria erogate in regime residenziale(per es. ricovero in RSA) nell’ISEE familiare o ristretto del richiedente si tiene conto anche dei figli maggiorenni non rientranti nel nucleo familiare anagrafico e non a carico del richiedente, calcolando una componente aggiuntiva, come previsto in maniera specifica nel comma 3 del medesimo articolo 6 del DPCM 159/2013. N.B. Nel caso di prestazioni sociali agevolate di natura socio-sanitaria rivolte però a minori condisabilità, si dovrà necessariamente applicare l’ISEE familiare [seppur con un parametro di equivalenza (p) più grande, visto che trattasi di minore].

3. Cosa deve intendersi per prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria

Per “prestazioni agevolare di natura socio-sanitaria”, cui ricollegare l’utilizzo del c.d. “ISEE ristretto”, devono intendersi, ai sensi dell’art. 1 del DPCM n. 159/2013, le“prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria rivolte a persone con disabilità e limitazioni dell'autonomia, ovvero interventi in favore di tali soggetti: 1) di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio; 2) di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali, incluse le prestazioni strumentali ed accessorie alla loro fruizione, rivolte a persone non assistibili a domicilio; 3) atti a favorire l'inserimento sociale, inclusi gli interventi di natura economica o di buoni spendibili per l'acquisto di servizi;” Alcuni inizialmente hanno erroneamente ritenuto che solo quando la prestazione avesse anche una sua componente strettamente “sanitaria” si sarebbe potuto utilizzare l’ISEE ristretto, al posto dell’ISEE familiare, per esempio prevedendo che per il centro diurno socio-sanitario si sarebbe potuto utilizzare l’ISEE ristretto, mentre per il centro diurno socio-educativo (con assenza di figure sanitarie) si sarebbe dovuto giocoforza utilizzare l’ISEE familiare. Ma sul punto sia l’Inps (nella FAQ INPS V_27 del 26/01/2016), sia il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (nella nota prot. n. 4110 del 11/06/2015), hanno chiarito che “nella definizione di prestazione agevolate di natura sociosanitaria, il Dpcm 159/2013 fa rientrare anche il concetto di altri interventi rivolti alle persone con disabilità: in effetti tale definizione è così ampia da ricomprendere sia le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale che quelle sociali a rilevanza sanitaria”, ossia prestazioni sociali che però vadano ad incidere sul complessivo benessere e stato di salute della persona. Del resto, a tal proposito, è utile ricordare che, ai sensi dell’art. 3 comma 2 del DPCM 14.02.2001:"Sono da considerare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute. Tali attività, di competenza dei comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi e si esplicano attraverso: a. gli interventi di sostegno e promozione a favore dell'infanzia, dell'adolescenza e delle responsabilità familiari; b. gli interventi per contrastare la povertà nei riguardi dei cittadini impossibilitati a produrre reddito per limitazioni personali o sociali; c. gli interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti; d. gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell'autonomia, non assistibili a domicilio; e. gli interventi, anche di natura economica, atti a favorire l'inserimento sociale di soggetti affetti da disabilità o patologia psicofisica e da dipendenza, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di diritto al lavoro dei disabili; f. ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente.” Invece nessun dubbio rispetto alle c.d. “prestazioni socio-sanitarie” che hanno una componente strettamente sanitaria (RSA, in cui vi è un servizio infermieristico, ecc.). In tal caso la compartecipazione al costo è calcolata solo sulla quota “sociale” di cui si compone la retta/tariffa della prestazione erogata, secondo quanto meglio detto nel prossimo paragrafo.

4. Una volta determinato il tipo di ISEE da applicare, come quantificare l’entità della compartecipazione, specie se socio-sanitarie a rilevanza sanitaria?

Ogni ente erogatore “prestazioni sociali agevolate” deve aver adottato un regolamento con il quale stabilire, rispetto a ciascuna prestazione per la quale vuole far pagare una compartecipazione al fruitore, quale siano le varie fasce di ISEE (familiare, ristretto, residenziale, a seconda dei casi sopra detti) in corrispondenza delle quali far pagare una data percentuale rispetto al costo totale della prestazione data [n.b. in alcuni casi vi è anche una formuletta con cui individuare la crescita progressiva e lineare (non a scatti, per fasce) della percentuale rispetto allo specifico ISEE.] Infatti, l’articolo 14 comma 2 del DPCM 159/2013 prevedeva che “Gli enti che disciplinano l'erogazione delle prestazioni sociali agevolate emanano entro la data di cui al comma 1 (ndr 17 dicembre 2014) gli atti anche normativi necessari all'erogazione delle nuove prestazioni in conformità con le disposizioni del presente decreto nel rispetto degli equilibri di bilancio programmati.” In tali atti, le Regioni, i Comuni ed altri enti eroganti prestazioni sociali agevolate possono prevedere (le Regioni pure con leggi regionali) dei limiti ISEE al di sotto dei quali ritenere non dovuta la compartecipazione al costo. In ogni caso tali atti non potranno prevedere una compartecipazione praticamente prossima o uguale al costo intero, in tal caso andandosi contro la logica della prestazione sociale “agevolata”, né prevedere una somma pur minima da pagare sempre anche in presenza, per esempio, di ISEE pari a zero. Tra l’altro, la compartecipazione al costo è solo sulla quota “sociale” della prestazione e quindi se essa è inerente a una prestazione socio-sanitaria, in cui vi è sia una quota “sanitaria” a carico del servizio sanitario sia una quota “sociale” a carico degli Enti Locali, sarà solo su quest’ultima che dovrà calcolarsi la compartecipazione al costo. Per la ripartizione all’interno di una retta/tariffa tra “quota sociale” e “quota sanitaria” occorre avere a riferimento la Tabella A del DPCM 14.02.2001. A mero titolo esemplificativo, si riporta qui di seguito la casistica sul calcolo della compartecipazione al costo per un ricovero in una struttura residenziale socio-sanitaria, seguendo la Tabella A allegata al DPCM 14.02.2001 (letta anche in combinato disposto con l’art. 34, commi 1 e 2, del DPCM 12 gennaio 2017): a) ricovero per trattamento intensivo o per trattamento con prestazioni ad elevata integrazione nella fase estensiva: la retta è integralmente a carico della sanità pubblica (es. prestazioni ex art. 26 l. 833/1978); b) ricovero nella fase estensiva di lungo assistenza che richiedono elevato impegno assistenziale e di tutela: la retta è a carico della sanità pubblica per il 70% ed il restante 30% è a carico del Comune di residenza, che poi, a sua volta, rispetto alla quota sociale pagata può chiedere una compartecipazione al costo (oggi in base all’ISEE socio-sanitario c.d. residenze) alla persona interessata; c) ricovero nella fase estensiva di lungo assistenza che non richiede elevato impegno assistenziale e di tutela: la retta è a carico della sanità per il 40% e per il restante 60% a carico del Comune di residenza, che poi, a sua volta, rispetto alla quota sociale pagata può chiedere una compartecipazione al costo (oggi in base all’ISEE socio-sanitario c.d. residenze); d) se trattasi di ricovero in servizi di residenza permanente (di mantenimento), la retta è a carico della sanità per il 40% e per il 60% a carico del Comune di residenza, che poi, a sua volta, rispetto alla quota sociale pagata può chiedere una compartecipazione al costo (oggi in base all’ISEE socio-sanitario c.d. residenze); Pertanto, le persone con disabilità e le loro famiglie dovranno innanzitutto verificare se la suddivisione tra “quota sociale” e “quota sanitaria” della retta/tariffa/costo totale è corretta per legge e, successivamente, rispetto alla “quota sociale” così individuata, verificare quanto debbano compartecipare in base all’applicazione del tipo di ISEE applicabile al caso concreto e alle fasce di compartecipazione individuate nei regolamenti territoriali. L’illegittima ripartizione tra quota sociale e quota sanitaria o l’illegittima richiesta di utilizzo di un Isee (per es. ISEE familiare) rispetto ad altro applicabile per legge (nell’es., ISEE ristretto) e ancora l’errata attribuzione di una fascia di compartecipazione rispetto all’altra possono sempre essere censurate entro i tempi e nelle forme e modi di legge.

5. Cosa non può essere richiesto alla persona con disabilità

Si registrano non di rado ulteriori domande inopportune o illegittime che vengono rivolte alle persone con disabilità richiedenti. Tra queste, si segnala che non può essere richiesto di: - indicare l’esistenza della situazione finanziaria e patrimoniale della persona con disabilità (visto che entrambe le situazioni sono già considerate nel calcolo dell’ISEE, ma in maniera ponderata per l’applicazione di parametri di equivalenza, che mettono in evidenza, appunto, l’incidenza sulla capacità economica reale della persona di ben altri fattori); - indicare la presenza o meno di persone civilmente obbligate a prestare gli alimenti verso la persona con disabilità; - indicare la percezione di provvidenze economiche come l’invalidità civile (che invece sono opportunamente escluse dal computo di qualsivoglia Isee in quanto non generanti ricchezza). Infatti, non si può surrettiziamente ridare rilevanza ad emolumenti che l’ISEE Nazionale ha già conteggiato, seppur ponderandoli (come nel caso dei redditi e dei patrimoni) o ha espressamente ritenuto non conteggiabili (come nel caso delle pensioni di invalidità). A tal riguardo appare utile richiamare che il Tar Lombardia, nella sentenza n. 1545/2019, ha ricordato che “la giurisprudenza ha più volte chiarito che i comuni (n.d.r.: stesso ragionamento per la regione) non possono, con i loro regolamenti, dare rilievo ad elementi diversi rispetto a quelli specificamente indicati nel dpcm n. 159 del 2013al fine di determinare il livello di capacità economica dell’assistito, con la conseguenza che non sono ammessi altri sistemi di calcolo delle disponibilità economiche dei soggetti che chiedono prestazioni di tipo assistenziale”. Del resto, l’art. 2 del DPCM 159/2013 indica espressamente che il nuovo ISEE costituisce “lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate. La determinazione e l’applicazione dell’indicatore ai fini dell’accesso delle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione.”. Lo stesso Consiglio di Stato nella sentenza n. 5684/2019 ha precisato che “E’ di tutta evidenza come si ponga in contrasto con la disciplina di riferimento sopra richiamata, statale e regionale, l’opzione – impropriamente privilegiata dal Comune appellato – di una contribuzione totalmente svincolata dal parametro dell’indicatore ISEE, come sopra ricostruita...l’ISEE resta dunque l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati in conformità alle prescrizioni delle indicate norme costituzionali e dei trattati internazionali sottoscritti dall’Italia per la tutela delle persone con disabilità gravi, e deve pertanto scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate al fine di garantire, in particolare, il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale e sanitaria ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere alla stregua degli artt. 32, 38 e 53 della Costituzione, non essendo consentita la pretesa di creare criteri avulsi dall’ISEE con valenza derogatoria o sostitutiva.” Anche se il DPCM fa “salve le competenze regionali in materia di normazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie” (quindi quanto sopra ricordato ai fini dell’articolo 4 del DPCM 14.02.2001) e “ferme restando le prerogative dei Comuni”, non è riconosciuta alcuna discrezionalità rispetto a ciò. Tale indicazione implica soltanto che una volta fissato il criterio nazionale dell’ISEE e la qualifica di livello essenziale, le Regioni e Comuni possono solo concretamente disciplinare le soglie di esenzione per la partecipazione al costo e l’individuazione delle varie fasce di ISEE a cui ricollegare la percentuale della quota sociale su cui compartecipare. Pertanto, le persone con disabilità e le loro famiglie possono opporsi a richieste di compartecipazione che non partano e non tengano conto della disciplina dell’ISEE o che, semmai, partano dalla considerazione che la disciplina ISEE e l’intervento pubblico si possano applicare solo quando le risorse della persona e/o della famiglia conteggiate con altri criteri (semmai considerando l’intero patrimonio immobiliare o il saldo del conto corrente intestato alla persona con disabilità) siano insufficienti a coprire l’intera “quota sociale”. Sul punto si veda anche l’approfondimento del successivo paragrafo 8.

6. La questione dei civilmente obbligati

La richiesta o la indicazione dei civilmente obbligati ex art. 433 c.c., si presenta come assolutamente illegittima visto che la norma eccezionale e speciale ha già stabilito quale tra questi rientrino nel c.d. “nucleo ristretto” con cui calcolare l’ISEE utile al fine della compartecipazione. Prevedere un diverso ed ulteriore impegno da parte dei soggetti obbligati agli alimenti, in parte già rientranti nel calcolo dell’ISEE sopra detto, porterebbe surrettiziamente ad introdurre criteri derogatori e distonici rispetto alla costruzione equa (fatta di pesi e contrappesi) presente nell’ISEE Nazionale. Per esempio, se già all’interno dell’ISEE è stato valorizzando il reddito di un certo obbligato agli alimenti, ma questo è stato neutralizzato da ulteriori e più gravi circostanze socio-economiche del più ampio nucleo, perché poi, richiedere a quest’ultimo, comunque di partecipare, dimenticandosi delle ulteriori variabili che invece uno strumento composito e completo come l’ISEE Nazionale contempla? Ma anche quando il civilmente obbligato non rientrasse nel nucleo ristretto, ciò sarebbe indice della valutazione legislativa di ritenere non valorizzabile su una siffatta vicenda un legame più blando, per una prestazione che, tra l’altro, a differenza di quella prevista nel codice civile non è volta al sostentamento minimo né è richiesta dal diretto interessato. Del resto, l’articolo 438 del codice civile prevede che solo il diretto interessato possa richiedere a coloro che sono civilmente obbligati verso di lui di intervenire e tra l’altro solo per il mero mantenimento per la sopravvivenza; mentre l’ente Pubblico non può richiedere alcun vincolo o comunque non può far discendere dalla suddetta norma alcun vincolo giuridicamente rilevante ed a proprio favore, tra l’altro per una prestazione rientrante nella presa in carico pubblica. Pertanto, si presenta come assolutamente illegittima la richiesta di far compartecipare i civilmente obbligati ovvero di condizionare l’accesso ad un servizio pubblico o accreditato/convenzionato ad un impegno economico da parte dei civilmente obbligati.

7. L’impossibilità di evidenziare le prestazioni assistenziali ai fini della compartecipazione al costo

Oltre quanto già sopra ricordato, si ricorda che le sentenze n. 838, 841, 842 del 2016 del Consiglio di Stato hanno escluso dal computo dell’Indicatore della Situazione Reddituale i “trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche” (art. 4, comma 2 lettera f), ossia tutte le pensioni, assegni, indennità per minorazioni civili, assegni sociali, indennità per invalidità sul lavoro, assegni di cura, contributi vita indipendente ecc. Tali sentenze sono state recepite con l’art. 2-sexies della legge 26 maggio 2016, n. 89 che nelle more della modifica del regolamento sull’Isee n. 159/2013 ha espressamente escluso di considerare i sopra indicati trattamenti. Oggi, quindi, la determinazione dell’entità della eventuale compartecipazione al costo deve essere determinata in base al solo indicatore ISEE che non considera tali prestazioni e indennità. Sul punto si legga anche la recentissima sentenza del Tribunale Civile di Bologna del 28 settembre 2021.

8. I Comuni non possono riconoscere un contributo a sostegno della “quota sociale” addossata integralmente in prima battuta al cittadino

Un fenomeno che a volte si registra è quello, soprattutto di alcuni Comuni, che ritengono di erogare un “contributo” a sostegno del pagamento da parte del fruitore dell’intera quota sociale, ma questo è illegittimo, perché al contrario loro dovrebbero garantire per dovere istituzionale la copertura dei costi e poi eventualmente chiedere rispetto alla “quota sociale” versata la compartecipazione al costo secondo le regole sopra richiamate. Giova per esempio ricordare che nella Tabella A allegata al DPCM 14.02.2001, laddove si calcolano i criteri di finanziamento delle prestazioni per l’“assistenza in strutture semiresidenziali e residenziali per disabili gravi” si prevede che la retta sia per il 70% a carico del SSN e per il 30% a carico dei Comuni, facendo poi “salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale”. Quindi già il dato testuale contenuto nella Tabella permette ancora una volta di ritenere illegittimo che il Comune si sottragga al calcolo dell’ISEE ritenendo in automatico addebitabile in “prima battuta” all’utente l’intera “quota sociale” della retta, avendo invece l’obbligo proprio l’Ente Locale di coprire in prima battuta l’intera “quota sociale”, con facoltà di recuperare rispetto a quanto pagato una somma dall’utente parametrata rispetto al suo ISEE. Se poi tale dato testuale lo si legge unitamente ad una lettura sistematica dell’intero DPCM 14.02.2001 (considerando per esempio anche quanto previsto nel suo articolo 5) e all’impianto assestatosi a seguito dell’introduzione del DPCM 159/2013 (che ha definito il ricorso all’Isee un livello essenziale in sé da garantire su tutto il territorio nazionale) è ancora più chiara l’illegittima determinazione assunta dai Comuni. Vi è poi un ulteriore aspetto da considerare, ossia quello che l’inserimento in un servizio o l’attivazione di una prestazione avviene in base ad una determinazione pubblica ed è quindi la pubblica amministrazione che stabilendo l’inserimento/attivazione deve contrarre con l’ente gestore che gestire il servizio in accreditamento per l’ente pubblico. Non si può pretendere che la presa in carico pubblica poi in parte si tramuti in acquisto privato da parte dell’utente del servizio (tra l’altro solo nella sua parte sociale, nelle prestazioni socio-sanitarie) e poi lo stesso richieda un contributo al Comune per intervenire a concorrere al raggiungimento della quota sociale dove l’utente non arrivi. Recentemente il Tar Milano nella sentenza n. 2192/2021, pronunciandosi in un caso di inserimento di una persona con disabilità grave presso una struttura sociosanitaria residenziale, ha ricordato che “spetta direttamente ai comuni l’obbligo di provvedere al versamento delle rette da corrispondere alle strutture residenziali ove sono inseriti soggetti disabili residenti nel loro territorio, salvo richiesta di compartecipazione all’assistito in base all’ISEE”.

9. Conclusioni

Il tema della compartecipazione al costo è tema ampio e complesso, che spazia dall’aspetto normativo inerente i diversi criteri di finanziamento dei singoli settori sanitari e sociali e, conseguentemente le percentuali di compartecipazione al costo delle diverse amministrazioni competenti all’erogazione del servizio, fino al calcolo della compartecipazione al costo eventualmente dovuta dal fruitore del servizio. Non tutti i servizi sanitari e sociali prevedono gli stessi criteri di finanziamento e/o le stesse percentuali di compartecipazione al costo da parte delle amministrazioni, così come non tutti i servizi prevedono una compartecipazione al costo da parte della persona con fragilità che ne usufruisce. Nell’approccio con il suddetto tema, pertanto, bisogna avere la consapevolezza di quanto sopra, pur nel rispetto dell’assoluto diritto alla salute ed all’assistenza sociale che l’ordinamento giuridico prevede. In ogni caso non può non ricordarsi che trattandosi di prestazioni “agevolate” l’eventuale compartecipazione da richiedere deve essere equa, giusta e sostenibile, diversamente correndosi il rischio che le persone con disabilità si astengano dal richiedere prestazioni, spesso assolutamente necessarie per la loro vita, o rinuncino a beneficiarie delle suddette necessarie prestazioni, anche se prescritte dal proprio progetto individuale ex art. 14 L. n. 328/2000, sol perché costrette ad una compartecipazione quantificata in modo errato e/o illegittimo.